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(4) IL PILASTRO DELLA DEMOCRAZIA (Terza parte)


IL PILASTRO DELLA DEMOCRAZIA

Riflessioni per un confronto con i critici sociali italiani e tutti i cittadini di buona volontà

(Terza parte)

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[Vai alla seconda parte] - [Vai alla prima parte]

 

7 * L’altra faccia della medaglia

Ma per portare fino in fondo il ragionamento bisogna inserire nel quadro un ultimo elemento; ho dedicato molto spazio a sostenere la legittimità dello studiare entità collettive come soggetti, ma adesso è il caso di guardare l’altra faccia della medaglia: nessuna entità collettiva è monolitica e, anzi, la pluralità è inevitabilmente connessa alla numerosità. Dunque anche il popolo italiano non è un’entità uniforme, come è chiaramente dimostrato dal fatto che i libri di denuncia vengono venduti in grande quantità; col che sembra di essere di fronte a un altro paradosso: con quelle tirature (senza contare la presenza su Internet dei social critics italiani) è difficile sostenere che l’informazione non circola; anche se assumiamo che la massa sia ormai assuefatta alla televisione e addormentata, l’assenza di un significativo movimento di opinione non si spiega. La cosa più probabile (questa è una mia teoria, ne sono consapevole, anche se gli indizi sono molto forti) è che siamo di fronte a due ambivalenze di fondo: la prima è quella dei partiti della sinistra, invischiati, forse, più che nel “guado” verso nuove denominazioni e forme di aggregazione, nei loro propri conflitti di interessi, nella commistione strutturale tra la dimensione politica e quella economica[1] e, alla fine, in un sistema di potere che rimane comunque fine a se stesso, non veramente proiettato “oltre”, sul futuro della collettività. Questa prima ambivalenza, che è impossibile da nascondere a lungo ai cittadini, spiega bene l’assimilazione di destra e sinistra nel vissuto di un’ampia parte della popolazione; inoltre mi pare sia perfettamente coerente con la metafora del residence proposta da Oliviero Beha (Beha, 2007); d’altra parte ne fanno fede eventi concreti come, per esempio, la già ricordata dichiarazione di rinuncia alla lotta sulla giustizia da parte del PD, e il suo appiattimento sui temi del quotidiano, fatta da Veltroni e Manciulli alla Festa nazionale del PD 2008. Oppure le affermazioni dell’Assessore alla sicurezza del Comune di Firenze, Cioni, nella stessa occasione e il pomeriggio dello stesso giorno, nel corso di un dibattito con il pubblico riportato dalla stampa (le frasi dell’Assessore sono virgolettate nell’articolo):


… Altra domanda: “Ho mia mamma in carrozzina e devo sempre chiamare i vigili per rimuovere auto e motorini sui marciapiedi. I vigili mi dicono, però, di richiamare il giorno dopo”. E Cioni: “Facciamo così: siccome i vigili registrano tutte le telefonate, segnati giorno e ora e vieni da me: andiamo a parlare coi vigili”.[2]


Sembra proprio la conferma del residence! Qui si registra un approccio di tipo populista che è uguale a quello tipicamente utilizzato dagli avversari politici e, in particolare, da Berlusconi: in sostanza i cittadini possono ottenere servizi di qualità, sicurezza e giustizia non in forza di regole certe e del presidio della loro applicazione, bensì solo grazie al benevolo interessamento di chi ha il potere.

E poi c’è la seconda possibile ambivalenza, che potrebbe spiegare bene la contraddizione fra le alte tirature dei libri di critica sociale[3] e l’assenza di una certa opinione pubblica chiamando direttamente in causa il popolo della sinistra. Ci sono segni, infatti, che anche la sua[4] cultura sia più vicina a quella rurale che a una democratica moderna; l’impressione è che la lettura di queste opere e, in generale, la maggior partecipazione alla vita civile che caratterizza in generale la parte sana (o, comunque, “più sana”) della popolazione, siano vissuti, in definitiva, come una sorta di alibi. L’idea retrostante, che emerge dalle continue interazioni nella vita privata e sul lavoro, sembra essere: questo mi corrisponde, mi ci riconosco e, facendo questo, io “ho già dato”, non chiedetemi altro. Questo processo mentale lo abbiamo visto in atto poco sopra, parlando dei “tifosi” del pool Mani Pulite negli Anni Novanta; un’ulteriore conferma viene da una ricerca sulla lettura dei giornali quotidiani da parte degli italiani, presentata in televisione alcuni anni fa[5] e nella quale si evidenziavano i seguenti punti: la stampa quotidiana italiana presenta, nel panorama internazionale dei grandi quotidiani, un aspetto editoriale particolare, caratterizzato da molte illustrazioni con l’intento (dichiarato) di facilitare la lettura e invogliare all’acquisto; a fronte di questo, tuttavia, le tirature rimangono basse mentre altrove (per esempio in Germania) si trovano testate con editing simile a quello dei quotidiani di un secolo fa (ovvero poche pagine fitte di testo, senza illustrazioni o quasi) ma con tirature enormemente più alte. Passando, poi, ai criteri di scelta della testata da parte dei lettori, la conclusione era che gli italiani, nel loro insieme, non leggono i giornali per informarsi sui fatti e per costruirsi un proprio punto di vista, bensì per trovare conferma di ciò che già pensano. Questo risultato corrisponde all’esperienza quotidiana.

Rispetto alla stampa quotidiana si può obiettare che, in Italia, proprio perché la gente legge poco i giornali questi, per sopravvivere, sono obbligati a inzepparsi di pubblicità (dunque di illustrazioni); oppure che anche all’estero ci sono tabloid pieni di illustrazioni; questo è vero ma, a parte le considerazioni che si potrebbero fare sui finanziamenti pubblici alla stampa italiana (che solo per il fatto di esistere dovrebbero almeno avere come contropartita una maggiore funzione di servizio, da parte dei quotidiani), dobbiamo notare che, appunto, la diffusione della lettura dei quotidiani continua a non decollare, che i criteri di scelta (fino a smentita di quei risultati) rimangono gli stessi e, in particolare, che rimane il curioso fenomeno che in Italia i quotidiani hanno TUTTI lo stesso aspetto editoriale. Le modalità di fruizione dei quotidiani sono sostanzialmente uniformi e trasversali agli schieramenti politici, e improntate alla ricerca di rassicurazioni o di alibi; in altre parole la mancanza di un sano atteggiamento critico sembra accomunare gli appartenenti a tutti gli schieramenti politici e la verifica sui risultati non si fa né a destra né a sinistra. In conclusione l’altra faccia della sudditanza (termine forse più adatto a chi si identifica nel centro-destra) si manifesta come un massiccio conformismo in chi si identifica nel centro-sinistra; per esempio non risulta che ci siano state richieste di chiarimento e reazioni indignate di elettori del PD a quelle uscite che abbiamo ricordato di alcuni vertici del partito; forse non se ne sono nemmeno accorti, orientati ad ascoltare solo quello che volevano sentire.

Rispetto agli alibi non possiamo, poi, evitare una riflessione; in un qualunque sistema sociale (e soprattutto in una società di massa) non ha senso che ciascuno si pensi come un’isola; il punto è che le responsabilità e i compiti di un dato momento storico non sono concepibili come pure scelte individuali perché in buona parte sono le circostanze che li delineano; se non si tiene conto di questo si cade in un curioso esercizio della volontà alla rovescia: la volontà di ciascuno viene impiegata non per capire il contesto reale e per scegliere consapevolmente la propria collocazione, ma per ritagliare dal contesto le parti più vicine al proprio modo di essere e sentirsi a posto. Va detto che un po’ lo facciamo tutti e che, entro certi limiti, è inevitabile e fisiologico; il problema italiano mi sembra consistere nelle dimensioni di questo fenomeno, che hanno superato, appunto, i limiti, oltrepassando il livello di guardia.

E, alla fine del discorso, non fosse altro che per una questione di par condicio, non si può evitare di, almeno, accennare a un altro attore di rilievo, sulla scena italiana: la Chiesa Cattolica. Ma neanche la sua influenza sui comportamenti delle forti componenti cattoliche della nostra società può essere, secondo me, presa come scusante; solo che, senza aprire un ulteriore fronte di riflessione (le relative questioni sono già amplissimamente dibattute e documentate), vorrei sottolineare come, per la Chiesa, una riflessione sul proprio ruolo nel conservare e nell’utilizzare questa particolare cultura sarebbe doverosa, e proprio in quanto essa si sta trasformando in una palla al piede e in una fonte di disagio e di sofferenza per il popolo italiano. Lo conferma la questione dei figli, che dovrebbe stare particolarmente a cuore a questa istituzione; nonostante la presenza dello Stato Vaticano sul territorio italiano, e nonostante la pervasività della presenza cattolica nella società, nella politica e nelle istituzioni, gli italiani sono quelli che fanno meno figli anche in confronto con i più avanzati tra i paesi industrializzati (che sono già, come è noto, quelli con i tassi di natalità più bassi al mondo). Ma questo non sarebbe ancora granché; un recentissimo studio (Livi Bacci, 2008) ha dimostrato, statistiche alla mano, che non solo i giovani italiani sono molto meno numerosi che altrove, ma che contano molto meno nella società; altro che sentimentalismo e figli “piezz’e’ core”, qui siamo di fronte a una specie di effetto-Crono, con le generazioni più anziane che si mangiano il futuro dei propri figli riservando ad essi, tutt’al più (e solo chi può, ovviamente), i falsi privilegi del nepotismo. A fronte di questo è facile sostenere che ciò avviene perché in Italia mancano politiche di vero e concreto sostegno alle famiglie che sono presenti, per esempio, nel resto dell’Europa più avanzata[6]. Appunto: secondo me queste politiche mancano perché, anche grazie al consenso del popolo italiano, le risorse sono state impiegate altrove, ovvero nell’alimentare un sistema-nazione inefficiente e dispendioso ma apparentemente rassicurante, nel suo paternalismo e nel privilegiare le componenti anziane della società. Questo è un altro risultato del tacito patto di scambio fra efficienza e tutela che il popolo italiano ha stretto con la sua classe politica; la Chiesa ci dovrebbe proprio riflettere.

La mia tesi è, dunque, che non si può spiegare l’anomalia italiana senza chiamare alla ribalta il popolo italiano anche se, nel suo insieme, mostra una forte (e antistorica) tendenza a chiamarsi fuori dai problemi sistemici della nazione; anzi, proprio per questo, per l’ingiustificato sussistere di una tale passività, bisogna riflettere a fondo su questo protagonista. La base culturale di questa tendenza è indubbiamente solida, e affonda le radici nella storia, nel passato rurale dell’Italia; tuttavia le cose sono cambiate e le ragioni storiche dello stabilizzarsi di questa cultura non possono essere più proposte come scuse per il suo mantenimento, ovvero per la conservazione di una mentalità da sudditi o, peggio, da servi.


8 * Alcune inevitabili conseguenze

Se la riflessione sviluppata fin qui è valida, non possiamo evitare di trarre alcune conseguenze, soprattutto sul piano logico ma con importanti ricadute a livello operativo. La prima cosa da evidenziare mi sembra la questione dei fatti: sulla base di quanto ho argomentato non possiamo sostenere che i fatti sono “scomparsi” (Travaglio, 2006), anche se appare indubbiamente vero che la massa dei giornalisti li ha intenzionalmente eliminati come riferimento per il proprio lavoro; il problema da affrontare dovrebbe, piuttosto, essere riformulato nei termini che i fatti non sembrano avere un impatto significativo sui comportamenti civici del popolo italiano. Se il ragionamento è corretto, questo diventa a sua volta un fatto, e i critici sociali e i cittadini di buona volontà gli devono dare un adeguato peso, a maggior ragione in quanto in generale ciò non lo si fa; se si dà peso a questo fatto dobbiamo trarre delle conseguenze, la prima delle quali è che un certo tipo di critica sociale continua ad essere meritorio ma, rispetto al destinatario principale (che è il popolo), è condannato a rimanere inefficace. Di più: puntando i riflettori esclusivamente sulla classe politica può ottenere l’effetto controproducente di rinforzare gli alibi della popolazione. Su questo mi sembra utile un inciso prendendo spunto da un interessante, recentissimo articolo di Giovanni Valentini[7]: l’autore dice molte cose pienamente condivisibili, proponendo alla categoria dei giornalisti una sacrosanta autocritica per non aver gridato di più, addirittura per non aver allarmato di più i lettori; così come individuando la loro responsabilità maggiore nell’acquiescenza all’attuale modello di sviluppo del sistema della comunicazione, con i falsi miti, la volgarità diffusa e via dicendo. In termini di ruolo (cioè in quanto comportarsi diversamente sarebbe stato doveroso, sul piano professionale, per gli specialisti della comunicazione) ha perfettamente ragione; il punto è che non sembra la disponibilità di informazione a fare la differenza (e questo lo dice anche Valentini) e che, quindi, il rinforzare i segnali di pericolo (questa è la sua ipotesi, sulla finanza come sull’emergenza climatica e la difesa dell’ambiente), va nella giusta direzione dal punto di vista del ruolo professionale degli operatori dell’informazione, ma non sembra avere molte prospettive in termini di effetti sulla popolazione, almeno di quella italiana.

Una cultura non si cambia con una campagna di stampa perché l’ascolto è selettivo per sua natura, e abbiamo visto che gli italiani non sono sensibili ai fatti. Il problema si presenta a livello di sistema e, rispetto alla critica sociale, dobbiamo registrare come un dato di fatto il prodursi di un effetto sincretico fra il massimo di denuncia e il massimo di ininfluenza. Dunque? Dunque bisogna scegliere: fare critica sociale sta diventando fin troppo facile perché il potere è ormai così sicuro e così sfacciato che non nasconde più niente, si permette di esporsi senza veli perché è protetto dallo scudo spaziale dell’atteggiamento diffuso tra la popolazione; usando i termini di Scarpinato, non è più osceno perché ciò che prima avveniva rigorosamente nel fuori scena ora si può impunemente svolgere alla luce del sole. Fare critica sociale EFFICACE richiede una riflessione, perché non basta tirare schiaffi: va scelta la faccia giusta, sennò si sprecano energie e, alla fine, ci si fa anche male alla mano. Fuor di metafora, se il potere è impermeabilizzato a un certo tipo di critica, bisogna cambiare modo; ma come? Ricette non ce ne sono, in quanto questo è un problema nuovo, per certi verso unico nella sua specificità, almeno tra i paesi industrializzati; però ci sono indicazioni forti, e secondo me una, forte, è arrivata di recente e, forse non a caso, da un “poeta”, nella fattispecie nelle vesti di un letterato: Roberto Saviano.

Roberto Saviano, nella sua Lettera a Gomorra, l’articolo scritto[8] dopo la strage camorrista degli extracomunitari a Castel Volturno, ha preso di petto la gente, il popolo di quella terra. Saviano ha detto, in estrema sintesi (la sintesi è mia): state vivendo nel degrado e non ve ne accorgete neanche più, vi siete assuefatti alla miseria, alla violenza, all’inquinamento dei rifiuti tossici e al conseguente aumento delle malattie fino al punto che vi sembra di poterci anche stare sufficientemente bene; non solo, la cosa peggiore non è tanto che tolleriate condizioni inaccettabili di vita, quanto che non riusciate più a immaginare una vita diversa; non avete più immaginazione, non avete fantasia, neanche per pensare a un futuro diverso per i vostri figli; e senza fantasia l’essere umano ritorna allo stato bruto, così voi siete ormai vivi solo biologicamente, avete permesso che vi riducessero a uno stato poco umano. Questa è una strada, secondo me; sarà stretta ma, intanto, questa è una strada, almeno per un poeta; e da questo poeta si può imparare, dato che l’oggetto di riflessione è lo stesso, è il POPOLO ITALIANO. Perché questo è il punto: in un sistema impostato su basi democratiche il popolo è comunque il pilastro della democrazia, che gli piaccia o no, che lo voglia o no, che sia pronto o no; i risultati del sistema dipendono in grande misura da lui, non fosse altro che per il fatto che almeno ogni 5 anni diverse decine di milioni di persone hanno in mano una scheda vuota e possono usarla liberamente; le condizioni attuali della democrazia italiana non possono essere comprese, e tanto meno affrontate, senza una riflessione profonda sullo stato del pilastro. Non possiamo evitare (né assolutamente dobbiamo impedire) che la gente scelga liberamente, anche se fa scelte diverse dalle nostre e se queste si rivelano, alla fine, sbagliate (e nella storia delle democrazie è successo); quello che dobbiamo contrastare è la costruzione di una incastellatura di alibi; almeno, che si sappia che le scelte sono scelte, non disgrazie. Non sappiamo se il messaggio di Saviano sia arrivato al bersaglio principale, cioè la gente; qualcuno però si è senz’altro sentito chiamato in causa, perché i penalisti del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pochissimi giorni dopo, hanno convocato una conferenza stampa criticando “le accuse indiscriminate, le offese nel mucchio” secondo loro presenti nella Lettera a Gomorra e rivolte alla categoria[9]. L’episodio ha un risvolto curioso in quanto, in effetti, il lunghissimo articolo di Saviano fa cenno anche agli avvocati difensori dei camorristi ma, appunto, ne accenna appena, in un brevissimo passo e in modo indiretto, come componente del contesto, rivolgendosi sempre alla popolazione nel suo complesso e senza entrare in alcun aspetto specifico.

Onestamente non credo che questa strada possa essere la soluzione; le società sono sistemi complessi, e nella complessità la soluzione deriva sempre da un insieme convergente di situazioni e di interventi, mai da un singolo evento; tuttavia mettere davanti allo specchio il popolo italiano mi sembra una necessità storica. Almeno per capire, altrimenti saremo condannati a perpetuare una combinazione di buoni propositi, idee astrattamente giuste e azioni inefficaci. Questa operazione può essere fatta per tante vie, alcune delle quali, come la politica e l’economia, sono fuori della portata diretta di molti come me, se non come elettori e come lavoratori; ma non sono le uniche e, sulle altre, anche la gente comune come me può dare un suo contributo. Ce ne sono due che mi sembrano chiare e che sono, per certi versi, parallele ma anche comunicanti e, alla fine, convergenti: quella già ricordata della poesia (nel senso di Freud, v. Nota 9 nella Seconda parte), che riguarda poeti in senso stretto, letterati come Saviano, autori come Moni Ovadia ma anche artisti di vario tipo come i comici “di sinistra” ricordati all’inizio[10]; e quella della scienza in generale e della sociologia in particolare, sulla quale idealmente si colloca questo mio piccolo contributo. Inoltre ce n’è una terza che è alla portata di tutti e che consiste nello sviluppare l’abitudine a riflettere sui propri comportamenti quotidiani e a interrogarsi sui loro effetti sistemici. Insomma bisogna spostare i riflettori e puntarli sulla gente perché loro sono il pilastro; e bisogna farlo ognuno per quello che può, al proprio livello, perché siamo tutti ATTORI, che lo vogliamo o no, che ci piaccia o no[11] (la gente è una categoria che comprende anche noi stessi). Non sappiamo se il declino dell’Italia sia arrestabile, ovvero se il pilastro sia risanabile; per quanto mi riguarda so per certo che, fino a quando vivo qui, non ho intenzione di smettere di provare a dare il mio contributo, con la consapevolezza dei limiti del mio livello ma con l’intenzione di non cedere all’assuefazione e, in definitiva, all’abbrutimento. Perché ha proprio ragione Saviano: ma che senso ha? Qui, prendendo come esempio una delle manifestazioni più diffuse del potere (altamente trasversale agli schieramenti ufficiali), il problema non sono solo i “nepotisti”, ma anche i nepoti: pensando ai figli, che gusto c’è a farsi accomodare la vita da papà o da mamma? Vuol dire che sei spento già da giovane, che in te non porti traccia di scintilla, che le uniche alternative che ti permetti sono quelle del candidato suddito o del candidato signorotto rurale. A pensarci bene fai pena prima ancora di partire.

E c’è un’obiezione tipica, a discorsi di questo tipo, che va smontata, e bisognerebbe smontarla una volta per tutte; ci provo. Il giorno dopo la pubblicazione della Lettera a Gomorra sono state registrate nella stampa quotidiana alcune reazioni; in particolare in un articolo di Roberto Fuccillo[12] sono comparse dichiarazioni di personalità importanti come il Rettore dell’Università “Federico II” di Napoli, lo storico ed ex-ministro Giuseppe Galasso, il professore ed ex-ministro Luigi Nicolais, tutti concordi sulla necessità di un intervento forte dello Stato; inoltre vengono riportare (virgolettate nell’articolo) le parole di padre Giorgio Poletti, frate comboniano arrivato nel 1995 a Castelvolturno:


Lui ha recuperato tante ragazze dalla strada, ma “forse alle persone – dice – in un territorio del genere non si può chiedere di fare gli eroi. Tanta gente dice di avere moglie, figli. Anch’io, Poletti, se avessi un coniuge e dei figli la cui vita potrebbe essere messa a rischio da una mia azione, non farei l’eroe, davvero”.


Sono pronto a giurare sull’onestà e la buona fede del sacerdote e, inoltre, in quei termini sono anche d’accordo; solo che se si analizza il ragionamento ci si accorge che è viziato, curiosamente con lo stesso tipo di vizio del ragionamento di Mulè sulla qualità delle trasmissioni televisive (v. Nota 5 della Seconda parte), in cui si contrapponevano trasmissioni su Kierkegaard e Kant come unica possibile alternativa (ovviamente impraticabile) alla TV-spazzatura. Questa è una forzatura logica, è come dire che esistono solo questi due estremi, che non solo non c’è niente di intermedio, ma che non ci può essere niente di altro, ovvero di diverso da entrambi; in questi termini l’affermazione è falsa. Non basta ragionare sulle cose, bisogna farlo in modo rigoroso; quindi, se riflettiamo sui problemi posti da Saviano, possiamo essere tranquillamente d’accordo che non si può chiedere alla gente di impegnarsi a livello di contrasto MILITARE dell’illegalità e del degrado; questo livello riguarda lo Stato e le forze dell’ordine (o, in casi estremi, le forze armate); e tuttavia non si può condividere un’impostazione che lo veda come unico ed esclusivo livello di azione. C’è un livello CIVILE della convivenza, in un sistema democratico, che è compito di tutti curare e che non comporta i rischi degli atti di eroismo; sto parlando dei micro-comportamenti quotidiani come allacciarsi le cinture di sicurezza in auto, non usare il cellulare quando si guida, pagare le tasse, istruirsi, far istruire i propri figli, impegnarsi ad usare al meglio lo strumento del voto. Oliviero Beha ha raccontato, in un suo libro (Beha, 2007, pag.27), che al giudice Nicola Gratteri, impegnato in indagini contro la malavita organizzata nella Locride, quasi più degli attentati subiti faceva effetto il fatto che, passeggiando in un qualunque paese della zona, i passanti sputavano dove camminavano i suoi figli; mi pare difficile sostenere che questo comportamento veniva messo in atto per effetto di costrizioni o minacce, o che non avesse alternative.

E, in chiusura, appare doveroso accennare al fatto che studi sugli italiani e sulla loro “italianità” non sono del tutto mancanti; intanto c’è una sterminata letteratura che potrebbe essere utilmente ripresa; ma anche andando oltre il campo della poesia potremmo ripartire da Gramsci, o anche da prima, dai pensatori del nostro Risorgimento. Va bene; ma possiamo anche partire da lavori più recenti: per esempio tra quelli che conosco cose interessanti sono state scritte da Davide Bidussa (1995, 2007), Tullio De Mauro (2004), Arnaldo Nesti (1997, 1999); e sono certo che ce ne sono moltissimi altri che non conosco. Tuttavia il lavoro mi sembra appena agli inizi o, comunque, non ha ancora prodotto effetti concreti; la tragica condizione culturale degli italiani è crudamente fotografata dalla graduatoria 2007 sul grado di “apertura internazionale” degli adulti in Europa, che non solo ci vede ultimi (su 15 nazioni rilevate), ma anche con grande distacco perfino dai penultimi (Livi Bacci, 2008, pag.84).

Certo non è tutto, e forse non sarà decisivo, ma stimolare la dimensione umana del popolo italiano e sviluppare conoscenza sulle condizioni reali del pilastro della nostra democrazia, ritengo siano contributi importanti; altrimenti a molti di noi non resta che prepararsi ad emigrare e, intanto, condividere con sofferenza il commento dello stilista Cavalli al caso Alitalia: “Mi vergogno di essere italiano” (la Repubblica, 25/9/08). La vergogna è un’emozione importante, ancorché sgradevole, perché può tradursi in una spinta fondamentale a cambiare, a migliorarsi; naturalmente, per quanto riguarda il tema di questo scritto, il successo si giocherà anche sull’esercizio della volontà da parte del popolo italiano, che potrebbe decidere (cioè scegliere, non ce lo dimentichiamo) di scotomizzare o fagocitare perfino il senso di vergogna. D’altra parte, secondo me, la verifica dell’ipotesi che lo stato attuale del popolo italiano sia una variabile indipendente (o un vincolo fatale) non è stata ancora portata fino in fondo; quindi la battaglia non è finita, e i critici sociali e i cittadini di buona volontà hanno un lavoro da fare.


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Bibliografia essenziale

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APPENDICE 1

Spunti specifici dalla stampa quotidiana

· Mentana: “Cogne? E’ quel che vuole la gente” (articolo di Carmelo LOPAPA su “la Repubblica” del 16/7/2008).

· Così il caimano ci ha cambiati … (dichiarazioni di Nanni MORETTI riportate nell’articolo di Luciano Nigro su “la Repubblica” del 1/8/2008).

· Law and order – backlash after a brutal murder revives uncomfortable memories of Italy’s fascist party (articolo di Nick MEO sul Sunday Telegraph del 10/8/2008).

· Opposizione tra autogol e letargo – Moretti accusa da Locarno. “E poi manca una vera opinione pubblica” (dichiarazioni di Nanni MORETTI riportate nell’articolo di Roberto Nepoti su “la Repubblica” del 14/8/2008).

· L’opinione pubblica è rimasta senza voce (articolo di Eugenio SCALFARI su “la Repubblica” del 17/8/2008).

· L’opinione pubblica non fa più sistema … (intervista di Alberto Statera a Giuseppe DE RITA, “la Repubblica” del 19/8/2008).

· Il dissenso sale della democrazia ma in Italia non siamo al regime (dichiarazioni di Federica GUIDI, presidente dei Giovani Industriali, riportate nell’articolo di Alberto Statera su “la Repubblica” del 22/8/2008).

· Il berlusconismo e l’opinione pubblica (articolo di Massimo L. SALVATORI su “la Repubblica” del 22/8/2008).

· Italia, condominio degli estranei (articolo di Ilvo DIAMANTI su “la Repubblica” del 24/8/2008).

· Maurizio Crozza – La cattiveria del camaleonte (articolo di Roberto INCERTI su “la Repubblica” del 28/8/2008).

· E’ la decomposizione il rischio per l’Italia (articolo di Giorgio RUFFOLO su “la Repubblica” del 3/9/2008).

· Perché non avremo mai un Obama o un McCain (articolo di Ilvo DIAMANTI su “la Repubblica” del 7/9/2008).

· L’illusione securitaria (articolo di Giuseppe D’AVANZO su “la Repubblica” del 8/9/2008).

· Come cacciare i partiti dalle ASL (articolo di Mario PIRANI su “la Repubblica” del 9/9/2008).

· Democrazia e fascismo al tempo della destra (articolo di Ezio MAURO su “la Repubblica” del 10/9/2008).

· Quel dilagante virus dell’autocrazia (articolo di Beppe SEVERGNINI su “Il Corriere della Sera” del 11/9/2008).

· Quei regali ai signori delle autostrade (articolo di Giorgio RUFFOLO su “la Repubblica” del 12/9/2008, che prende spunto dal libro “I signori della autostrade”, di Giorgio Ragazzi, edito da Il Mulino).

· Troppe incertezze, ora il cibo fa paura (articolo di Jenner MELETTI su “la Repubblica” del 13/9/2008).

· Prigionieri del passato (articolo di Ilvo DIAMANTI su “la Repubblica” del 14/9/2008).

· Se usasse questi toni anche in Italia (articolo di Corrado AUGIAS su “la Repubblica” del 14/9/2008).

· ASL, altro che concorso basta uno sguardo (articolo di Mario PIRANI su “la Repubblica” del 15/9/2008).

· Lettera a Gomorra (articolo di Roberto SAVIANO su “la Repubblica” del 22/9/2008).

· “Questa terra non ha più eroi – il primo potere è la camorra” (articolo di Roberto FUCCILLO su “la Repubblica” del 23/9/2008).

· Saviano: “La strage segnale agli immigrati” (articolo di Conchita SANNINO su “la Repubblica” del 26/9/2008).

· L’italianità come legittima difesa (articolo di Ilvo DIAMANTI su “la Repubblica” del 28/9/2008).

· La battaglia finale (articolo di Franco CORDERO su “la Repubblica” del 30/9/2008).

· Le colpe dei media nella crisi globale (articolo di Giovanni VALENTINI su “la Repubblica” dell’11/10/2008).

 

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APPENDICE 2

Testo standard del messaggio personale inviato ad alcuni autori


Pregiatissimo Signor …………….,

ho letto di recente alcune sue opere e ho avuto modo di seguire alcuni suoi interventi in televisione; gli stimoli che ho ricevuto mi hanno indotto a scriverle. Mi chiamo Roberto Maffei, sono un cittadino italiano nato nel 1949, sono molto preoccupato per la fase attuale del Paese e sto cercando di capire gli eventi in corso e i possibili sbocchi della situazione.

Ho dedicato il tempo libero degli ultimi mesi, oltre che ai suoi lavori, ad approfondire l'esame di diverse altre opere, tutte collocabili in una categoria che potremmo provvisoriamente definire “critica sociale”; le scrivo (e un messaggio analogo viene contestualmente inviato ad altri degli autori) per due motivi:

1. Come cittadino italiano desidero innanzitutto ringraziarla per il suo importante contributo al far chiarezza in questa confusa situazione; ritengo sinceramente meritorio l’impegno in questo senso, che interpreto come impegno civile nel senso migliore del termine.

2. Desidero segnalarle che, provando a comporre una sintesi generale dei diversi lavori (suoi e degli altri), si riesce a ricostruire un quadro coerente e pressoché completo della critica situazione italiana, tuttavia ancora imperfetto sul piano delle spiegazioni. Per esempio manca, secondo me (ma la domanda compare diverse volte anche nelle opere che ho consultato), una risposta pienamente soddisfacente sul “perché”, su come sia stato possibile instaurare, sulle solide basi della ricostruzione italiana dopo la guerra, un disastro come quello che si sta profilando nel momento attuale; questa carenza, naturalmente, ostacola anche la ricerca di una via d’uscita, dunque il colmarla è una questione prioritaria. Su questo ho anche lavorato e ho sviluppato un'ipotesi che penso le potrebbe interessare


Fermo restando il mio ringraziamento le segnalo che, nel caso lei intenda prendere in esame la mia analisi, può trovarla per esteso all’URL

http://www.robertomaffei.it/readarticle.php?article_id=17

Tutto questo con l’intenzione di dare un contributo a livello di impegno civile, e con la speranza di esserci riuscito.

Unisco i miei più cordiali saluti agli auguri per il suo lavoro e il suo impegno

Roberto Maffei



[1] Diverse delle opere richiamate in Premessa lo documentano più che adeguatamente, faccio riferimento a quelle senza dilungarmi in ulteriori particolari.

[2] la Repubblica, 7 settembre 2008, articolo firmato e.f. e m.v..

[3] Da unire alla buona o ottima audience delle trasmissioni televisive di analogo contenuto (lo conferma per esempio il passaggio di Report, in onda su RAI 3 la domenica, dalla fascia oraria di seconda serata a quella di prima, avvenuto ormai da diverso tempo).

[4] La definizione “popolo della sinistra” va intesa come riferita in generale a un potenziale (e sottolineo potenziale) fronte progressista, quindi non limitata agli iscritti ai partiti della sinistra, bensì estesa a tutti quei cittadini di buona volontà richiamati nel sottotitolo, e anche se hanno scelto di votare a destra. Per esempio, solo per fare un riferimento tra i tanti possibili, quelli impegnati nel volontariato sociale, che registra una partecipazione molto elevata, al punto che qualcuno ha proposto scherzosamente di riformulare l’Articolo 1 della Costituzione definendo l’Italia una repubblica fondata sul volontariato, invece che sul lavoro.

[5] Il ricordo sui contenuti è netto ma non ho conservato i riferimenti della trasmissione.

[6] Sono particolarmente noti, anche in quanto oggetto di attenzione recente da parte della stampa e della televisione italiane, gli interventi francesi e quelli dei paesi scandinavi.

[7] Le colpe dei media nella crisi globale, articolo di Giovanni Valentini su la Repubblica dell’11 ottobre 2008.

[8] la Repubblica, 22 settembre 2008.

[9] Saviano: “La strage segnale agli immigrati”, articolo di Conchita Sannino su la Repubblica del 26 settembre 2008.

[10] Non so se lei si possa sentire inclusa in questa mia categoria concettuale, però va riconosciuto che, anche se non lo fa in modo sistematico, Luciana Littizzetto ogni tanto punta efficacemente il dito su certi comportamenti quotidiani degli italiani.

[11] La questione di quella che potremmo chiamare “sindrome dello spettatore” è stata autorevolmente sollevata da Jacques Attali nel suo libro Breve storia del futuro ed è stata spiegata di persona nell’intervista rilasciata a Fabio Fazio nel corso di una puntata (2008, se non ricordo male) della trasmissione Che tempo che fa; anche se il caso italiano è abnorme, il lavoro di Attali ci ricorda che questa sindrome è diffusa in tutto il mondo e, nei paesi avanzati, è legata al senso di frustrazione che scatta di fronte a problemi che sembrano troppo giganteschi per l’uomo comune come le questioni ecologiche, i cambiamenti climatici o la prospettiva di esaurimento delle fonti di energia tradizionali. A fronte di questo lui indica come uno dei fattori che possono fare la differenza proprio il cambiamento di atteggiamento dei cittadini; nella presentazione su Internet del libro si legge: la storia non è semplice fatalità: il domani dipende da come gli uomini intendono usare già oggi le innovazioni tecnologiche e da quanto vogliano mettere a disposizione dell'umanità le potenzialità individuali, soprattutto quelle creative.

[12] Questa terra non ha più eroi – il primo potere è la camorra, articolo di Roberto Fuccillo su la Repubblica del 23 settembre 2008.


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